Fotografia e Writing, una breve riflessione. Di Lino Ganci

La fotografia è indubbiamente e per ovvie ragioni lo strumento più utilizzato dai writers per la documentazione dei propri lavori. Lo è in misura maggiore rispetto ai video, nonostante questi restituiscano una visione più completa del contesto in cui le opere vengono realizzate, interagiscono col pubblico, “vivono”; infinitamente più del testo, che tuttavia permette un’analisi più profonda, soprattutto se accompagnato da immagini statiche o in movimento.

Un patrimonio enorme

Nel tempo, l’attività di documentazione svolta dai singoli writers ha giocato un ruolo fondamentale nella crescita della Cultura, da un lato preservandone la memoria e dall’altro permettendo la diffusione di lavori sempre meno fruibili direttamente. Questo grazie anche agli strumenti di collezione e diffusione di questo enorme patrimonio di immagini accumulato in cinquant’anni di storia del Movimento: i book dei singoli writers, le riviste, i libri e poi i video, essenzialmente documentari.

I libri

The Faith Of Graffiti and Subway Art
The Faith Of Graffiti e Subway Art, l’occhio dei fotografi sul Writing a New York in due diversi momenti del suo sviluppo: agli inizi degli anni 70 il primo, in una fase più matura, circa un decennio dopo, il secondo.

 

Le prime pubblicazioni sull’argomento non si avvalgono di contributi fotografici degli autori delle opere in esse contenute, essi sono piuttosto il lavoro di fotografi il cui occhio è attratto da questo nuovo “fenomeno”. Avviene sin dall’inizio col libro “The Faith of Graffiti”, che raccoglie gli scatti del celebre Jon Naar, passando in seguito per i diffusissimi Subway Art e Spraycan Art, nei quali è l’occhio di Martha Cooper, Henry Chalfant e James Prigoff a immortalare pezzi divenuti iconici proprio grazie ai loro scatti e alla eco generata dalla diffusione internazionale di questi libri.

I writers, primi testimoni del proprio tempo

Eppure già agli esordi del Movimento alcuni writers documentano le proprie opere, lo dimostra il materiale che solo negli ultimissimi anni sta vedendo la luce grazie alla facilità di pubblicazione offerta dai Social Network e alla riscoperta importanza di questo tipo di testimonianze. Certo, la qualità delle foto spiega perché spesso fosse impensabile, almeno all’epoca, includerle all’interno di pubblicazioni “ufficiali”, tuttavia esse costituiscono una testimonianza eccezionale della nascita e sviluppo di un fenomeno culturale oggi ben radicato e diffuso capillarmente a livello globale. Eppure agli occhi di chi scattato queste foto nei primi anni 70 esso non è ancora niente di tutto questo, tantomeno è scontato – forse finanche impensabile – che lo diventi.

Produzione vs. Documentazione

Nei primi anni ’70 sono diffusissime le fotocamere Instamatic di Kodak con le loro cartucce 126, facilissime da usare e da ricaricare, e in quegli stessi anni vedono la luce le nuove tascabili Pocket insieme alle cartucce 110. Si tratta di macchine fotografiche povere che fermano le immagini su piccole porzioni di pellicola. Il formato del frame è quadrato nel caso delle prime, 4/3 in quello delle seconde, ma in ogni caso le dimensioni sono ridotte fino a un quarto di quelle del già piccolo formato 135. In fondo, almeno in questo primo periodo, viene da pensare che la documentazione fotografica sia per i writers un’attività secondaria rispetto a quella principale, ovvero la scrittura del proprio nome.

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Here’s a nice simple style piece on the 4 line which I kinged in 1983 this outline was done for me on paper by @delta2nyc so I rocked it not bad for a 16 year old back then early 80’s the shot & photo was taken by me with my little 110 Kodak camera I had wracked from Woolworth with plenty of free film too the glory days nothing like it never ever again and I’m was very blessed to live it thank you GOD your truly the greatest #cope2 #1983 #1980s #subwaygraffiti #subwayart #photography #110kodakfilm #kodakfilm #nycsubwaygraffiti #nycsubway #museumofgraffiti #hypebeastart #massappeal #12ozprophet #museumofgraffiti #molotowpaint #montanacolors #montanacans #loopcolorsusa #kobrapaint #hiphop #kingzdestroy

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Un pezzo di Cope 2 fotografato con una Kodak Pocket all’inizio degli anni 80

Fotografare per esigenza

In un momento in cui molte opere sopravvivono per parecchio tempo, in alcuni casi anni, non ci si pone neanche il problema di documentarne l’esistenza: sono lì, su un muro o sulla fiancata di un treno, e non è troppo difficile inciamparvi con la vista anche più volte prendendo la metropolitana. L’esigenza di immortalare i pezzi si fa viva con maggiore forza nel momento in cui la sopravvivenza degli stessi è a rischio, minacciata da altri writers alla ricerca del proprio spazio o dalle autorità nei vari tentativi di repressione del fenomeno.

Le fanzine

È con la nascita e la diffusione delle prime fanzine, ovvero magazine non professionali fatti da e per appassionati, che gli scatti dei writers iniziano a svolgere una doppia funzione: quella di preservare la memoria dei pezzi e di diffondere la fama dell’autore. Le fanzine diventano un ulteriore supporto sul quale fare girare il proprio nome e, se si vuole approfittare di questa occasione, occorre che i propri scatti siano “pubblicabili”, ovvero rispettino degli standard qualitativi inerenti alla foto oltre che all’opera in sé. Inevitabilmente molti writers diventano sensibili all’utilizzo del mezzo fotografico, alcuni se ne appassionano, altri ne fanno un vero lavoro che va oltre questo processo di documentazione.

Da scrittori a fotografi

Ci sono anche casi in cui le passioni per il Writing e per la fotografia viaggiano da subito insieme e uno è spesso la prima vera opportunità per sperimentare con l’altra. È così, un po’ per necessità e un po’ per virtù, che si cementa un connubio sempre più saldo tra writers e macchina fotografica: gli scatti amatoriali pubblicati sulle fanzine sono gli unici a testimoniare dall’interno questo fenomeno e a contribuire alla diffusione di una Cultura, quella dello “Style Writing”, quanto mai viva e ricca di sfaccettature.

…A editori

Non lasciamoci ingannare dal carattere di non professionalità delle fanzine, l’utilizzo del termine è quanto mai ampio e va da produzioni di qualità portate avanti da persone (a loro volta writers) che di lavoro fanno sempre altro, a pubblicazioni più spontanee in cui gli autori sono disposti all’utilizzo di ogni mezzo di stampa, compresa la fotocopia, pur di soddisfare l’esigenza di diffusione del messaggio.

IGT - Issue 13
IGT – Issue 13. Il terzultimo numero della storica rivista International Graffiti Times, più tardi International Get Hip Times, la prima dedicata al mondo del writing. Fondata da David Schmidlapp, all’inizio un outsider di questo mondo, diviene un punto di incontro virtuale per la comunità dei writers che non solo la accettano, ma contribuiscono a vario titolo. Questo numero, come tutti quelli successivi all’ottavo, vede la collaborazione di Phase 2 in qualità di art director.

 

 

Prima di internet e dei social

Le fanzine sono state il veicolo principale di diffusione di storie, stili e in generale di tutto ciò che è legato al mondo del writing, offrendo uno spaccato dall’interno di questa cultura, un punto di vista unico. Da IGT, prima pubblicazione dedicata all’argomento, passando per Flashbacks, magazine con un occhio al presente e uno alle radici del writing newyorkese, per arrivare alle innumerevoli testate focalizzate ora su questo ora su quell’aspetto del movimento; ora di respiro locale, ora internazionale. Dagli USA all’Europa, all’Asia, all’Australia, centinaia di riviste hanno testimoniato per anni uno spaccato della scena soprattutto attraverso le foto scattate dagli autori stessi dei pezzi o da loro colleghi, passando attraverso un processo di raccolta e selezione delle immagini.

 

Flashbacks
Flashbacks – The Old Timers Special Issue 9. Numero ricco di contenuti all’epoca inediti e dedicato a una retrospettiva sui primi anni del Writing sulla metropolitana di New York

I video

Più lenta è stata la diffusione dei primi documentari e in generale del materiale video, tuttavia negli ultimi venti anni la crescita è stata esponenziale, complici gli abbattimenti dei costi di produzione grazie all’impiego della tecnologia digitale e di quelli di stampa e distribuzione grazie all’utilizzo del web. Sarebbe riduttivo però parlare della documentazione video nel mondo del writing esattamente negli stessi termini di quella fotografica, pur tuttavia è innegabile che ci siano dei punti in comune.

Style Wars

Style Wars è un documentario del 1983 opera di Tony Silver and Henry Chalfant, due professionisti del settore (uno dei due è autore dei libri sopra menzionati): esso è unanimemente considerato una pietra miliare, il primo vero lavoro che mette al servizio della cultura aerosol tutta la potenza comunicativa delle immagini in movimento. Dimostra non soltanto che si può parlare di writing anche con il video, ma che ha senso farlo. Adesso è scontato, ma non lo è mai per chi si cimenta per la prima volta in qualcosa di nuovo.

Documentari a confronto

Style Wars & Dirty Handz
Style Wars e Dirty Handz

Usciti a poco più di quindici anni di distanza l’uno dall’altro, Style Wars e Dirty Handz sono un esempio di documentari molto diversi tra loro. Entrambi hanno come protagonisti dei writers che operano nella propria città: New York nel primo caso, Parigi nel secondo. Entrambi segnano in qualche modo un punto di svolta: il primo è di fatto un cult e contiene interviste ad alcuni degli esponenti di spicco della scena newyorkese della fine degli anni 70 e i primi anni 80. Il secondo racconta come questo fenomeno abbia attecchito in Europa in una delle capitali che per prima ha visto nascere e crescere una scena già in quegli stessi anni in cui Style Wars veniva presentato al pubblico.

Proprio il pubblico di riferimento è uno degli elementi che li rende diversi: Mentre Style Wars è trasversale e cerca di gettare luce sul movimento dall’esterno, rendendo l’argomento trattato accessibile ai più, Dirty Handz parla principalmente ai writers e testimonia l’opera dei bombers parigini più attivi sulle linee locali, tramandandola alle generazioni seguenti.

Video DIY

Accanto a documentari come quelli appena menzionati ne esistono tanti altri, molti dei quali sono delle video fanzine prodotte dai writers stessi che spesso hanno trovato nella propria passione un’opportunità per cimentarsi nell’utilizzo dello strumento video. Anche in questo caso, come per le fanzine, il fatto che si tratti di prodotti confezionati da appassionati non professionisti non deve trarre in inganno riguardo la qualità di alcuni di essi e ciò che importa in ogni caso è l’esclusività del punto di vista offerto allo spettatore: materiale video che dà largo spazio alle azioni (a differenza delle riviste), impossibile da girare se non per gli autori delle stesse. Si potrebbe ragionare insieme su come la fotografia e soprattutto il video abbiano influenzato negli ultimi decenni l’evoluzione del writing e l’approccio dei writers alla propria attività ma questo, sicuramente, è argomento che merita una riflessione a sé.

 

Lino Ganci (Palermo, 1979) inizia a esplorare l’Italia nella seconda metà degli anni 90, fino a stabilirsi a Perugia dove studia Pubblicità e Comunicazione. Il forte legame con il mondo del Writing lo porta a pubblicare tra il 1999 e il 2005 una rivista dedicata insieme al socio Francesco Romito. Insieme alla rivista i due sono tra i fondatori di Gotaste, collettivo di artisti hip hop dei quali Lino cura la produzione esecutiva dei primi progetti. Nel 2008 approfondisce le proprie competenze nel settore audio, foto e video presso la Scuola di Alto Perfezionamento Musicale di Saluzzo. Nel 2015 inizia a studiare calligrafia con Monica Dengo: durante i suoi corsi impara le basi delle scritture formali e prende ispirazione per lavori più espressivi nei quali utilizza codici e tecniche acquisiti nel corso degli anni. Vive e lavora a Palermo.

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