Raccontaci come ti sei avvicinato a questo mondo.
Sono nato nel 1978 e la mia prima passione è stato lo skateboard, come tanti altri ragazzi cresciuti in Italia in quel periodo, e intorno all’età di 10 anni iniziai ad avere un’attenzione particolare per le scritte che vedevo sui muri, e che al tempo erano in maggioranza simboli politici. Un giorno notai una scritta che posso considerare come uno dei primi pezzi che ho visto e ricordo che c’era scritto: “WIRGIX RULES”. Sono cresciuto a Roma in zona Spinaceto e in breve tempo tutto il quartiere era stato “infestato” da quel nome. Non ero ancora molto esperto ma già avevo percepito che la continuità con cui era stata realizzata aveva l’intento di diffondere un messaggio molto chiaro: Qui comando io!!
Da allora iniziai a fare i primi tag e la fortuna ha voluto che una mia compagna di classe era la sorella di Bingo della crew CNC (che si trasformò in seguito in ETC e successivamente TRV). Grazie alla mia amicizia con lei frequentavo spesso la sua casa e non mi lasciavo mai sfuggire l’occasione per rubare con gli occhi quando incontravo suo fratello.
Nel giro di 4 anni, formai un crew con gli amici di zona e nel 1992 andammo a dipingere la metro sperimentando le prime fughe dalle “guardie”, che già in quei tempi non si facevano problemi a sparare.
Alcuni di quei throw up alla fine girarono, e venni a sapere che Mc Giaime li aveva notati e voleva conoscermi, e questo per me era un grande riconoscimento da parte di uno dei king della scena.
Per una serie di motivi iniziai a frequentare spesso Masito dei Colle Der Fomento, anche lui appassionato da sempre di writing e passavamo i pomeriggi in sella al mio Honda Zx con l’obiettivo di andare a rubare spray e vestiti, per poi andare a dipingere la notte.
A quel punto il writing aveva preso tantissime direzioni: c’era chi si concentrava sulla metro, chi bombava a 360°, chi preferiva i muri e così via.
Era il periodo in cui a Roma e nei dintorni iniziavano ad organizzare i primi rave illegali e tra il pubblico non era difficile incontrare altri writer come me, che non erano legati esclusivamente al mondo del rap ma cercavano altre vibrazioni.
Da essere solamente uno spettatore ad organizzarne anche io il passo è stato breve e dal 1998 al 2003 mi sono dedicato alla realizzazione di eventi che spaziavano dall’Hip Hop alla Techno curando la parte visuale sfruttando quei pochi mezzi che avevo a disposizione.
Come nasce Paradise City?
L’idea di Paradise City è nata dopo il “KickIt market” che c’è stato a Roma da poco tempo. Sono andato a trovare lo staff di Hasib Posse che era presente all’evento, e da un confronto con mio fratello Amir ho realizzato quanto marchi grandi e piccoli si stiano appropriando di diversi aspetti della nostra cultura. Ad iniziare proprio dal termine abusatissimo Street Style o Street Wear, ma anche dell’estetica del mondo del writing.
La mia riflessione parte dal fatto che originariamente lo Street Wear si identificava nelle sottoculture del periodo, partendo dallo skate e il surf per arrivare alla cultura Hip Hop, e oggi siamo ad un punto in cui chi vuole indossare un determinato brand lo fa solamente per imitare il suo artista preferito o per moda, quando noi per anni abbiamo dovuto faticare prendendoci gli sfottò di chi ci accusava di voler “copiare” gli Americani e siamo stati alimentati da una vera e propria passione che dura ancora da più di venti anni. Sto realizzando un archivio di libri, riviste e musica che cercano di catalogare la storia della Street Culture della nostra città (e non solo) affinché si possa tramandare e far conoscere, perché dietro ad un determinato modello di North Face o anche semplicemente da come si allacciano un paio di Air Max c’è una storia che va raccontata, e per inaugurare la nascita di questo progetto ho realizzato un calendario con le opere di una decina di writer, e ogni mese è corredato da alcuni scatti che ho realizzato appositamente.